Il boom dell’europop in relazione agli zoccoli Dr. Scholl di mia nonna
Un racconto ironico sulla relazione tra una hit estiva di 25 anni fa e l’uso alternativo degli zoccoli Dr. Scholl.
Scritto da Francesco Cipriano
03 settembre 2025
Il gruppo olandese Vengaboys, di genere Europop, arrivò al successo con il brano “Boom Boom Boom Boom” pubblicato nel 1998 ma diventato hit nell’estate del 1999.
Quello fu il mio primo anno in Sicilia dopo che la mia famiglia si era trasferita dalla Svizzera. Avevo ancora un forte accento francese e difficoltà nell’integrarmi. Per farlo non dovevo solo imparare a padroneggiare bene l’italiano, ma soprattutto il siciliano, che tutti i miei amici parlavano naturalmente mentre io sembravo un nobile decaduto con la cadenza francofona babba.
Frequentavo la strada per imparare meglio a destreggiarmi tra i “Suca” e i “Cucì tutt’a posto?”, i “Pigghia u palluni e scassàmu sta spacchiu ri saracinesca!” e i “Amuninni a futtiri i caramelle a Mariella, Ancilina e Mastru Tanu”, ma mi perdevo nella comprensione di termini come “Paccamora” per dire “adesso” e tutta una serie di segni e gesti non verbali di cui è pregna la cultura sicula: indice e medio roteati a mezz’aria per indicare la Morte; le dita della mano che sfiorano il sotto mento per intendere di non volerne sapere niente; la mano che segue una testa immaginaria all’altezza del bacino per dire “Me la puoi sucare”.
Insomma, c’era un universo da imparare.
In quel 1999 però la canzone dei Vengaboys mi insegnò una preziosa lezione.
Come ogni prodotto artistico e mediatico proveniente dall’estero, il loro brano era sì diventato una hit estiva, ma non era rimasto immune agli stravolgimenti dettati da uno scontro di culture. Molto banalmente, il ritornello era stato modificato. In siciliano. Con un non-sense che ancora adesso, nonostante non sia più un bambino e siano passati venticinque anni, trovo ancora geniale.
Vediamolo.
Il ritornello originale della canzone fa così:
Boom boom boom boom
I want you in my room
Let's spend the night together
From now until forever
Un ritornello semplice per una canzone europop, facile da ricordare e cantare. L’onomatopea “Boom” ripetuta quattro volte, seguita dai versi “ti voglio nella mia stanza, passiamo la notte insieme, da ora fino all’eternità”.
Chiaro e semplice.
La versione siciliana era un po’ diversa, faceva così:
Boom boom boom boom
‘A pasta cu ragù
Ma manciu sana sana
To matri è ‘na buttana!
Ora, del perché e del come si sia diffusa questa versione è un mistero che l’umanità difficilmente risolverà. Così come chi sia il geniale autore. Ma quello che possiamo fare è analizzare il testo e rimanere stupiti dinanzi a cotanto genio.
Analisi del testo:
Come nel ritornello originale, nel primo verso “Boom” viene ripetuto quattro volte.
Il secondo verso, invece, cambia in “A pasta cu ragù”, un tipico piatto della cucina casalinga, la certezza dell domenica, il trionfo del matriarcato. La pasta col ragù è la sublimazione della scimmia sapiens che si erge a semi dio.
Da intuiamo come il primo verso, contenente la quadrupla ripetizione del “Boom”, assume nuova valenza e significato: il primo boom è l’esclamazione catartica e liberatoria “Minchia che bello, mamà, a pasta cu ragù mi preparasti!”; il secondo boom l’esplosioni di odori e sapori generato dalla pasta col ragù; il terzo boom è l’impatto sensoriale dalla predetta sulla mente dell’individuo; il quarto boom è il catapultarsi della mente nel vortice della memoria involontaria scatenata dalla pasta col ragù, che in confronto la madeleine di Proust è insipida.
Il terzo verso invece, “Ma manciu sana sana”, ovvero “Mangio il pasto che ho qui davanti nella sua interezza”, è chiaramente un’allusione alla legge morale sicula che proibisce di lasciare alcunché nel piatto. Che tu sia sazio o che il pasto non sia di tuo gradimento, finisci tutto e non fiatare: mancia tutto ca sinnò a mamma s’offende, ‘a nonna s’angoscia, u Signuri chianci.
Ma ecco che con il quarto verso, pur concatenandosi con una rima memorabile alla precedente, assistiamo a uno stravolgimento tematico insensato eppure formidabile. La protagonista non è più infatti la pasta col ragù fin qui decantata, bensì l’altrui mamma. Il quarto e ultimo verso che stravolge il brano dei Vengaboys recita “To matri è ‘na buttana”.
Così, senza motivo alcuno. Dopo aver decantato l’esplosione sensoriale della pasta col ragù e aver solennemente promesso di mangiarla sana sana, per intero, ecco che con il quarto verso si annuncia la buttanaggine della mamma di chi ascolta.
Quello che mi ha sempre sorpreso - ed è quindi il motivo per cui adoro questa variante - è l’assoluta gratuità dell’offesa: da che mangio una buonissima pasta col ragù, a che dico che tua mamma è puttana.
Immaginatevi la scena: immaginate di invitare qualcuno a cena, di servigli una pasta col ragù che secondo l’antica ricetta avete cucinato per tutta la mattina, gli servite un buon vino e vi accomodate, il vostro ospite si rallegra alla vista della pietanza che gli avete preparato, né odora il profumo preparandosi a divorarlo, esclama “Boom boom boom boom!”,. Voi non capite, siete un po’ sorpresi di questa reazione, poi lui vi fissa negli occhi con determinazione e dice “A pasta cu ragù...”, quindi porta la mano sul petto, all’altezza del cuore, per sottolineare la solennità del momento, e quasi a fare una promessa che suppone voi gradiate, giura “Ma manciu sana sana!”. A quel punto voi siete sollevati dall’ansia e sicuri di aver fatto colpo sul vostro ospite. Lui addenta la prima forchettata e chiude gli occhi, reclina la testa all’indietro ed emette un sibilo di goduria, tutto un mmm di approvazione, scuote la testa su e giù e fa ok con le dita. Quindi deglutisce e con la bocca ancora sporca di sugo vi rutta in faccia “To matri è ‘na buttana!”.
Ma perché? Che t’ho fatto? Che motivo hai di dire ciò di mia madre? Ma non stavamo parlando della pasta col ragù?
Quella mania si era impossessata di me, dovevo continuamente cantare questo ritornello privo di senso.
Una domenica andai a pranzare dai miei nonni. Nonno stava guardando la Formula Uno in tv e nonna era ai fornelli.
“Come va a scuola?” mi chiese nonna.
“Bene bene, imparo” risposi svogliatamente.
“E il siciliano lo impari?”
“Quello è difficile, lo capisco ma non riesco a parlarlo” mi spiegai.
“Imparerai” sentenziò lei mentre portava la pentola a tavola. “Conosci già qualche parola in siciliano?” mi chiese nonna mentre riempiva i piatti di pasta. Di pasta - col - ragù.
Non so ben dirvi cosa mi prese né quale fu la concatenazione di sensazioni e idee malsane che mi fecero fare quel che feci, ma d’un tratto, senza pensarci, scattai istintivamente in piedi sulla sedia e mentre nonna si faceva il segno della croce prima del pasto e nonno seguiva il sorpasso in curva di Schumacher, urlai come un ultrà allo stadio:
“Boom boom boom boom
A pasta cu ragù
Ma manciu sana sana
To matri è na buttana!”
lasciando i miei nonni completamente esterrefatti.
A distanza di venticinque anni mangio ancora la pasta col ragù, anche se un po’ mi sdegna.
In compenso l’unico “Boom” che ricordo è quello degli zoccoli Dr Scholl di mia nonna che sbattevano sulla porta dello sgabuzzino in cui mi ero rifugiato.