La dipendenza tecnologica e il blu del cielo
A Cinisi un gruppo di giovani scout del Clan Croce del Sud ha organizzato l’evento dal titolo “L’era dell’uomo automatizzato”: adulti e adolescenti si sono confrontati sul legame sempre più viscerale (e spesso tossico) tra i giovani e il mondo digitale.
Testo e foto di Vanessa Leone
16 giugno 2025
Il caldo è soffocante e sembra quasi creare una densità nell’aria tra noi e gli altri. Sarà questa la premessa di ciò a cui sto per assistere? Alcuni ragazzi del gruppo scout Cinisi I Clan Croce del Sud hanno organizzato un evento dal titolo intrigante: L’era dell’uomo automatizzato.
Intuisco si tratti di qualcosa relativo all’uso smodato della tecnologia in particolar modo tra gli adolescenti e i cosiddetti nativi digitali.
All’ingresso dell’oratorio Piergiorgio Frassati, a Cinisi, un cesto di ventagli ci invita ad entrare senza paura: il fresco non c’è e quindi lo dobbiamo fare a mano. La tecnologia è lontana anche dai locali scelti per l’evento!
Ma un gruppo nutrito e interessato di ragazzi e genitori hanno scelto, come me, di trascorrere un’ora scarsa ai piedi di una croce che piangiamo tutti, quella degli smartphone e di tutti i dispositivi e le applicazioni che creano dipendenza.
La visione di un cortometraggio in musica prima, e la messa in scena di simpatici dialoghi intergenerazionali poi, sono intervallate da riflessioni serie e documentate. I protagonisti sono i giovani Alessandro Coniglio, Salvo Mangiapane e Aurelia Lercara, anche se la vera regina della scena è la consapevolezza, piena e vera, che laddove c’è un ragazzo, lì c’è uno schermo.
Escono fuori espressioni come hook model, meccanismo a ricorrenza verbale, captologia e FOMO (Fear Of Missing Out), ovvero la paura di perdersi qualcosa. Si riferisce a un'ansia sociale che porta a temere di essere esclusi da esperienze piacevoli o gratificanti che altri stanno vivendo. Perché se prima qualcuno faceva qualcosa dall’altro lato del mondo, non lo avresti mai saputo, adesso viaggi, piatti di pasta, feste alla moda, tramonti e dichiarazioni d’amore eterno sono a portata di mano, e la vita degli altri appare sempre più bella della nostra.
Ho visto tutti gli scroll del mondo nelle parole degli improvvisati attori, e ho ascoltato il silenzio della ragazza con il telefono in mano, chiusa nella sua camera e in un mondo che di reale ha solo i bordi del dispositivo, che segnano un confine tra dentro e fuori, vuoto e pieno, vero e finto.
“La vita non è quella che vedi nelle stories di Instagram” mi ha detto una volta una persona. Ma se è la sola cosa che vediamo, è quella che passa per realtà!
E la paura arriva quando sullo schermo un grande Cyber Ciclope parla alla solitudine e alle miserie di noi astanti: il mondo è brutto, nessuno ti capisce, ma io sì...io ti conosco e ti accolgo. Eccola la trappola dell’artificio: supplire all’assente. Allora l’algoritmo si fa amico, si fa genitore, insegnante. Tutti vengono sostituiti da un unico piccolo oggetto che regala dopamina a profusione.
Questa è dipendenza, e ce ne siamo accorti tutti.
“Il mio colore preferito è il blu” dice la protagonista dopo essere guarita da una grave dipendenza da social. “Non il blu dello schermo, ma quello del cielo”.
Sì, perché di social ci si ammala, ma dai social si guarisce.
Torno a casa con il cuore piccolo piccolo, apro la porta e chiamo le mie figlie. Non mi risponde nessuno e le immagino inebetite davanti al telefono. Salgo le scale ed entro nella cameretta: le trovo di spalle, ad ascoltare musica, intente a regalare al mondo un po’ di blu del cielo.