Un piatto di pasta per nonna Totò - Seconda parte: La signorina e il patriarcato


Francesco Cipriano

11 marzo 2025


La signora Salvatrice Mannino è una donna di Torretta che tutti hanno sempre chiamato Totò.

Nata nel 1929 e deceduta nel 2024 all’età di 95 anni, un anno prima della sua scomparsa ha rilasciato quest’intervista in cui ha raccontato la sua vita.

Potete leggere e guardare la prima parte dell’intervista cliccando qui: Prima parte “Lettera a un soldato”.

Nella seconda parte, la signora Totò racconta gli anni dell’adolescenza, quando rimasta orfana di madre e dopo che la sorella maggiore si sposò, spettò a lei diventare la “fimmina di casa” e “servire” il padre e i fratelli. Furono per lei anni di duro lavoro in cui avvertiva la mancanza della mamma che le cucinava un piatto di pasta. Quello stesso piatto di pasta che diventerà una promessa: se fosse diventata madre, avrebbe servito i suoi figli.

Infine, Totò racconta la vita da “signorina” rinchiusa in casa sotto il ferreo controllo paterno.


Dopo aver perso la madre all’età di dieci anni, Totò rimane con suo padre, i due fratelli e la sorella. Quando quest’ultima si sposa, Totò ha quindici anni e diventa lei la fimmina di casa

“Io sono rimasta con tre uomini a casa, a quindici anni. E li servivo, a mio padre e ai miei fratelli” racconta Totò, che continua:  

“Mia madre è morta che avevo dieci anni. Quando si sposò mia sorella, sono rimasta sola con tre uomini che dovevo servire. E da ragazza ho lavorato tanto, tanto, tanto. Perché i miei fratelli avevano il commercio. In tempo di guerra compravano il rame, lo vendevano, lo giravano, lo facevano con la forgia. Io e mia sorella lavoravamo sempre. Mio fratello Benedetto aveva il commercio dell’olio e io ogni mattina ci inchivu i bidoni per lui portarseli a lavorare. Mi alzavo sempre con il buio la mattina, da signorina. Lui se ne andava a lavorare e io mi facevo le faccende di casa. Questa era la vita da signorina”. 

A questo punto del suo racconto, la signora Totò mi dice una cosa che mi colpisce e che dà il titolo a quest’intervista:

“Ma io però ero stanca e dicevo: quando mi sposo, se mi sposo, i miei figli li devo servire. Tuttu n’mucca cia metteri, tutto in tavola. Perché io avevo dei desideri, certe volte mi dicevo: “Ma se mia mamma mi cucinasse la pasta, a me cosa farebbe?” Perché la mamma manca, io lavoravo”. 

In quegli anni di duro lavoro e sacrifici, costretta a occuparsi degli uomini di casa nonostante la giovane età, Totò coltiva dei desideri. Il suo desiderio è di avere la mamma che le cucina un piatto di pasta. Un semplice piatto di pasta che non placa la fame, ma altri bisogni negati: quello di avere la guida e l’affetto di una madre, quello di vivere gli anni dell’infanzia come una bambina. La sua condizione di orfana costretta a lavorare si traduce quindi nel desiderio di diventare madre e di non far mancare nulla ai suoi figli. Lei che serve i fratelli e il padre, sogna di diventare madre e di servire i suoi figli, per dar loro ciò che a lei è stato negato. “Tuttu n’mucca cia metteri, tutto in tavola”. 

Allora per capire chi fosse la signora Totò all'età di quindici anni, quando dopo aver perso la mamma ha dovuto lavorare, servire il padre e i fratelli e fare loro da madre, le chiedo cosa avrebbe voluto fare se avesse potuto scegliere, se avesse ancora avuto la madre a prepararle un piatto di pasta. Ma la risposta che mi restituisce la signora Totò non lascia spazio a scelte di libertà, visto il contesto di quegli anni. 

“Quegli anni si vivevano in casa, non era come oggi che le ragazze escono. A 14 anni noi non potevamo uscire più da sole: prima dei quattordici anni eri una bambina, dopo ci ritiravamo in casa”. 

“Le stava bene questa situazione?” le chiedo.

“Mi stava male, prima non era come ora che si può andare a fare la spesa. Serviva qualcosa e la dovevi comprare, dovevi chiedere a qualche ragazzino per strada “Me la compri questa cosa?”. E così facevamo, ma dopo noi non potevamo uscire più. Finìu, a casa, a messa e niente”. 

Altra risposta che mi ha colpito: perché ciò che oggi consideriamo un luogo comune sessista, ovvero che debba essere la donna a fare la spesa, per la signora Totò sembra rappresentare un simbolo di libertà. Dal suo punto di vista (quello di una ragazzina cresciuta con le regole del patriarcato più ferreo, in cui era costretta a vivere rinchiusa in casa, a pulire e cucinare, ma che per avere gli ingredienti era costretta a mandare qualche ragazzino a comprare ciò che serviva poiché a lei era vietato uscire di casa), anche andare a fare la spesa rappresenta una conquistata libertà. 

“Ne parlavate tra di voi, tra donne, che era ingiusto?” le chiedo allora, per capire se esisteva una qualche forma di contrasto, anche se le idee femministe non erano ancora sbarcate nella provincia siciliana. Lei mi risponde con fatalismo, ma facendomi anche sentire ingenuo, perché certe dinamiche erano allora del tutto inimmaginabili. “Chi vai pinsannu?” mi dice lei. 

“Era ingiusto tutto. Quando mi sono fidanzata una volta mia suocera mi ha invitato per andare a raccogliere l’uva, mio padre non mi ci ha fatto andare. Per gelosia, perché le figlie non dovevano andarci dagli ziti, capito? Perciò, chi vai pensannu? Dovevamo stare a casa, sutta postu ri patri”. 

“Suo padre era geloso?” le chiedo.

“Troppo geloso, si scantava ri figghi” risponde la signora Totò.

“Di cosa si spaventava?” le chiedo.


“Ca va viri, ca iddi u sannu. Si scantavanu si nni manciavanu! Però non era una mentalità giusta, era sbagliata. Ci tenevano strette… cu sà, metti ca scappa!” mi risponde la signora Totò con un grande sorriso ironico.

Guarda “Un piatto di pasta per nonna Totò - Seconda parte: La signorina e il patriarcato” sul canale YouTube di Compaesano

Guarda la prima parte “Lettera a un soldato”


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