Una vita di corsa: intervista a Pino Bommarito, da Terrasini alle Olimpiadi di Roma


Testo e foto di Vanessa Leone

11 giugno 2025


Com’è che recita quel famoso detto africano? Che tu sia leone o gazzella, l’importante è correre! Se sei destinato alla vittoria, poi…solo la vita saprà dimostrarlo. Lo sa bene Pino Bommarito, detto ZìZì, terrasinese classe 1933.

Siamo nella piccola cittadina marinara, quando i ragazzini andavano in giro scalzi e niente faceva loro paura. Quando i sogni di un ragazzo sembravano lontani da quella piazza del paese in cui l’unico passatempo erano le gare tra coetanei. E lui, Pino, vinceva sempre!

Decido di intervistare l’uomo che nel 1958 è stato campione italiano nella staffetta 4×400 m, in 3'17"0 e che ha partecipato ai Giochi olimpici di Roma 1960, nei 400 m piani, uscendo ai quarti di finale, 5º con il tempo di 47"5, dopo aver passato la sua batteria da 3º in 48"6, e nella staffetta 4×400 m con Nereo Fossati, Mario Fraschini e Renato Panciera, venendo eliminato in semifinale, 4º con il tempo di 3'07"83, dopo aver passato la sua batteria da 3º in 3'10"00.

Nel salotto di casa sua mi aspetta un gentile ed elegante signore, di quelli che trasudano dignità e ancora tanto fascino. L’udito lo tradisce un poco da qualche anno, un’anca ha deciso di dargli filo da torcere e la memoria a volte vacilla, ma la luce dei suoi occhi e la verve di un uomo che ammette di avere avuto una vita bellissima, è viva e spazza via quei pochi segni di vecchiaia.

“Da ragazzino mi piaceva fare le gare di velocità in piazza con i miei amici che ora non ci sono più, e vincevo sempre io!” ammette ridendo.

“Mio padre faceva l’esattore per conto dell’Enel, e ogni giorno andava a piedi a Balestrate. Mia madre invece aveva un negozietto di generi alimentari in via Palermo, dove abitavamo. Ero figlio unico, perché mia madre non riusciva a portare avanti le gravidanze: solo io sono riuscito a venire al mondo. Frequentavo le scuole medie a Cinisi, perché a Terrasini ancora non c’erano. Ogni mattina passava un carretto guidato da ‘u zu’ Iachinu che portava tutti gli studenti a scuola e io, anziché salirci…gli correvo dietro!”

Alla domanda del perché non salisse con i compagni sul carretto, Pino fa eloquenti spallucce: “ma che ne so…mi piaceva correre!

“A Roma ero l’unico siciliano in gara, ma la cosa che mi ricordo con affetto è che Otis Davis, campione del mondo, alla fine della gara è venuto a ringraziarmi, perché io sono partito velocissimo ma poi non ce l’ho fatta, ma ho dato a Davis la spinta per andare più veloce di me e vincere la gara” racconta Pino con estrema lucidità.

Grazie alle sue gambe ha girato il mondo gareggiando in tutta Europa, arrivando perfino in Cina. Ma le olimpiadi di Roma gli hanno dato la possibilità di costruire quella che ancora oggi è la sua casa. “Mi hanno dato un milione di lire, che nel 1960 erano tanti soldi!” dice Pino.

E quella casa è stata riempita d’amore e famiglia grazie al suo amore Dina (che se ne è andata sette anni fa) e ai loro quattro splendidi figli: Stefania, Rosatea, Toti e Mariangela, che per il papà sono gioielli preziosi e presenti nella sua quotidianità. Ed è la figlia Stefania a guidarci nei ricordi del papà: foto, articoli di giornale e memorie scritte a mano in album organizzati dalla sua mamma.

“Mia moglie l’ho conosciuta per puro caso” racconta Pino. “Ero seduto davanti casa all’ombra con mia madre, e vedo una ragazza passare in bicicletta. Era graziosissima, andava a Cinisi da Partinico a comprare i giornaletti. Al ritorno, il vestito si è incastrato nelle ruote e si è fermata proprio davanti a me. L’ho aiutata ed è riuscita a tornare a casa. Poi l’ho vista alla festa di settembre a Terrasini e poi un’altra volta a mare. E da lì…non ci siamo più lasciati”.

Il campione ha fatto strada nel mondo dello sport sia come lavoro che come stile di vita: è stato per anni allenatore del CUS Palermo, seguendo gli atleti, e nel frattempo non dimenticava di crescere i suoi quattro figli con lo sport come valore che fa la differenza. D’estate organizzava per loro gare di corsa, trasmettendo l’amore per la disciplina, il rispetto del compagno di gara e la sete di vittoria. “Mia figlia Stefania era velocissima, ma vedendo le sorelline un po’ più lente, le aspettava…e io le dicevo corri, corri sempre!

Nel tempo il suo posto nel mondo del lavoro è cambiato, prendendo una piega completamente diversa. “Sono entrato alla regione prima in maniera precaria e poi con un’assunzione stabile. Quel giorno in cui mi hanno pagato non credevo ai miei occhi e non vedevo l’ora di fare una bella sorpresa a casa. Sono entrato in cucina e ho detto a mia moglie che avrebbe dovuto pulire la scala perché era troppo sporca, lei incredula si è alzata da tavola ed è corsa a guardare pronta a smentirmi. In realtà avevo tappezzato i gradini con tutte le banconote con cui mi avevano pagato!” e ride di gusto ed emozione, Pino.

La figlia testimonia che suo papà è sempre stato un padre e un nonno generoso, e che ancora oggi non smette di essere presente per tutta la famiglia. 

Mi allontano a malincuore da questi occhi belli e questo sorriso buono, metto a confronto le immagini dinamiche che lo ritraggono in gara con la flemma del suo gesticolare e colgo che il tempo lascia segni inequivocabili su ogni essere umano. Ma un guizzo in un’espressione mentre parla alla figlia mi riporta a quelle foto di quel ragazzo accolto in paese dopo la grande sfida olimpica. Leggo in lui l’orgoglio di avere segnato la storia sua, della sua famiglia, di Terrasini, della sua Sicilia e della nazione intera.

Tutte cose bellissime che a Pino forse non interessano quanto a noi spettatori di un’esperienza così esaltante, perché non c’è uomo più autentico di colui che agisce motivato dalla passione innata e non inculcata. Storie come quella dell’atleta Bommarito ci mettono con le spalle al muro, obbligandoci a chiederci se forse abbiamo dato troppo ai nostri ragazzi che mancano di “fame” di vita vera, di corse ad ostacoli che noi grandi tendiamo puntualmente a rimuovere.

Gli dico che gli farò avere l’articolo scritto e pubblicato e mi regala un ultimo e sincero “arrivederci”. Mentre raggiungo l’uscita mi guardo intorno e realizzo che sto uscendo dalla casa di un ragazzo come tanti che ha messo le gambe ai sogni.


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