Antichi Sentieri del Furi: cronaca di un pellegrinaggio tra mito, fede e biodiversità resistente


Da oggi Compaesano si arricchisce di una nuova voce: il Dottor Saverio Leone, dentista di Cinisi, curerà una rubrica dedicata ai luoghi, ai sentieri e ai dettagli spesso trascurati del nostro paesaggio. Nei suoi resoconti il Dott. Leone unisce rigore e curiosità, restituendo uno sguardo personale e documentato.

A partire da questo primo articolo, ci accompagnerà in una serie di percorsi alla (ri)scoperta del territorio.


Testo e foto di Saverio Leone

3 giugno 2025


Immersi in un angolo di natura selvaggia e pressoché incontaminata, l’escursione lungo gli Antichi Sentieri del Furi si è rivelata un tuffo emozionante nel cuore della memoria storica e spirituale di questi luoghi.

Prima degli anni ’60, questo tracciato impervio era l’unico collegamento verso il maestoso Santuario del Furi e le fertili terre di Piano Margi, un tempo rigoglioso mosaico di vigneti, frassineti e alberi da frutto. Qui, tra filari di uva dolce, fichi carnosi, noci rugose e le rare zorbe – oggi quasi scomparse – si coltivava con sapienza antica persino la manna, linfa preziosa estratta dalla corteccia dei frassini che un tempo dominavano la zona.

Da non dimenticare che lungo la strada si trattava (si separavano le foglie dal tronco, sbattendole con il tridente) il sommacco, le cui foglie si rivendevano alle case farmaceutiche.

Ed inoltre si aveva una grande produzione di carrubbe, fonte di sostentamento per tante famiglie.

Il percorso odierno , lungo la reggia trazzera, ci ha regalato perle di rara bellezza: l’iconico Ponte Romano, testimone muto di passi millenari, e l’enigmatica Balata di Sansone, dove la roccia custodisce l’impronta dello zoccolo del leggendario cavallo del gigante biblico, un dettaglio che sfida il confine tra mito e realtà.

La meta principale, il Santuario del Furi, si è svelata in tutta la sua aura mistica: meta di pellegrinaggi da ogni angolo del globo.

Abbiamo visitato anche la grotta dove, prima della costruzione del santuario, veniva venerata l’icona sacra della Madonna del Furi, fulcro di una devozione popolare che ancora oggi riecheggia tra queste pietre.

A fare da guardiani silenziosi del sentiero, giganti vegetali ci hanno accompagnato con la loro presenza maestosa: un carrubo trecentenario, nodoso e imponente come un patriarca della natura, affiancato da mandorli dal profumo delicato e ultimi esemplari di zorbe, relitti di una biodiversità che resiste all’oblio oltre ai frassini, da dove si ricava il nettare di Dio ossia la Manna

Ogni passo lungo questo percorso è stato un dialogo tra epoche: il fruscio del vento tra le foglie sembrava sussurrare storie di pellegrini, contadini, cavalieri e frati, mentre l’orizzonte selvaggio ricordava la fragilità di un equilibrio tra uomo e ambiente che qui, miracolosamente, sopravvive.


L’autore ringrazia Padre Antonio Ortoleva, il Santuario Madonna del Furi ed Ettore Palazzolo per l’organizzazione.


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