“U ciramu di me figghiu” - 25 anni dopo i Cento passi


In occasione del 25esimo anniversario del film “I cento passi”, pubblichiamo il ricordo scritto tempo fa da Luisa Impastato, nipote di Peppino e Felicia e presidente di Casa Memoria. Un racconto che passa anche attraverso le parole della nonna Felicia, che negli ultimi anni della sua vita chiedeva ogni domenica di rivedere “u ciramu ri me figghiu” (il film di mio figlio). Fino a quel giorno, poco prima di morire, in cui domandò di metterlo “per l’ultima volta”.


Scritto da Luisa Impastato

02 settembre 2025


Quando iniziarono le riprese de “I cento passi”, a Cinisi, io avevo 12 anni. Ricordo i primi incontri con il regista e i produttori, venuti a conoscerci, a sentire direttamente dalle voci dei protagonisti quella storia che avrebbero raccontato.

Ricordo che per me erano uomini altissimi e che è nato da subito un rapporto di stima reciproca. Per me, a quell’età, è stata una magnifica esperienza: gli attori, i costumi, le cineprese, era tutto nuovo ed eccitante. Ricordo che non tutti gli operatori conoscevano bene la storia di Peppino, qualcuno non la conosceva affatto, ma da subito si è instaurato tra i componenti della troupe e noi un clima familiare e, man mano che procedevano le riprese, era evidente l’enorme cura e il rispetto, quasi sacrale, nei confronti di Peppino e della nostra storia.

Ricordo con affetto soprattutto il rapporto tra i protagonisti e mia nonna e i loro primi incontri: quello con Lucia Sardo (che l’ha interpretata, regalando a chi non l’ha conosciuta le sue paure, la sua battaglia interiore, ma soprattutto la sua forza e il suo immenso amore materno) è stato amore a prima vista, un rapporto solidale, una storia di donne con una straordinaria forza interiore. Lucia ha fatto sua la storia di Felicia, tanto da continuare a raccontarla negli anni successivi con un suo personale spettacolo, “La madre dei ragazzi”.

Ricordo con simpatia l’incontro con Tony Sperandeo, che interpretava Badalamenti, un momento quasi tragicomico, perché quando ha voluto incontrarla, mia nonna inizialmente rifiutò dicendo “a Tanino un lu vogghiu viriri”, ma si è concluso, poi, con un caloroso abbraccio.

Quello con Luigi Lo Cascio è stato il più toccante: quando lui si è presentato portava degli occhiali neri come quelli che era solito indossare Peppino, con il suo fisico esile e quello sguardo vivo e intelligente, le ha subito ricordato il figlio. Da quel momento, senza dire una parola, si percepiva la sua approvazione.

Ma è stata anche una grande presa di coscienza, per me, che avevo già maturato l’orgoglio per questa storia e questa consanguineità proprio grazie alle parole e alla testimonianza di mia nonna, la sua più grande custode.

Che scegliessero di farci un film su mio zio significava allora che davvero la sua storia meritava di essere ricordata, che aveva davvero fatto qualcosa di grande. Per me che non ho conosciuto Peppino, viverlo sullo schermo, grazie alla magistrale interpretazione di Luigi Lo Cascio, è stata una grandissima emozione, una restituzione degli anni in cui provavo ad immaginarlo nella mia testa, a immaginare come sarebbe stata la mia vita con accanto una persona straordinaria così come mi era stata raccontata.

Ma sono certa che sia stata una grande emozione collettiva, soprattutto per chi quegli anni li ha realmente vissuti, per chi quel cammino l’ha realmente fatto insieme a Peppino. Certo, non sono mancate le polemiche e le critiche, legate soprattutto a inesattezze poco inerenti alla realtà, alla necessaria riduzione dell’esperienza politica e di lotta di Peppino e i suoi compagni entro quelle che si possono definire “ esigenze cinematografiche”. E soprattutto quelle dovute all’aver ingabbiato la figura di Peppino a una dimensione iconografica, che forse poco lo rappresenta e che noi ci siamo sempre impegnati a chiarire, spiegandolo ogni giorno a Casa Memoria, invitando chiunque si sia avvicinato alla sua storia ad andare oltre il film.

A partire dal titolo, quei cento passi simbolici che segnano la breve distanza tra la casa di Gaetano Badalamenti e la casa di Peppino, quei pochi passi che dividevano chi viveva di prepotenza e malaffare e chi a questo stato di cose si è voluto ribellare. Una metafora significativa ma riduttiva per la storia di ribellione di Peppino, perché la distanza entro cui operò la sua rottura storica e la sua voglia di affrancarsi dalla cultura mafiosa a cui apparteneva anche lui , è avvenuta a una distanza ancora più ridotta, perché avvenuta dentro la sua stessa casa, dentro la sua stessa famiglia e, se vogliamo, dentro se stesso.

Ma, nonostante questo, è innegabile il valore storico, oltre che affettivo, che la pellicola ha avuto per noi, la nostra causa e per chiunque sia impegnato o creda che possa esistere una società libera dalle dinamiche mafiose.

Con “I cento passi” la storia di Peppino è arrivata dove con le nostre forze non sarebbe potuta arrivare da sole, ha girato in lungo e in largo, ha varcato i confini italiani.

“I cento passi” è forse uno dei film più visti in questi anni nelle scuole, ha contributo ad avvicinare alla storia di Peppino. Facendo maturare una coscienza civica e culturale a migliaia di giovani che, come me, non lo hanno conosciuto. Ha cambiato vite, ha dato coraggio, ha aperto coscienze e lo fa ancora oggi. Ed è proprio per il suo valore costruttivo, oltre che per la bellezza stessa del film, con un cast eccezionale (da “ I cento passi” sono iniziate delle fortunate carriere per molti degli attori ancora a quel tempo quasi sconosciuti ) e una regia magistrale, che è entrato nella storia del cinema italiano. In questi giorni ricorre il venticinquesimo anniversario della sua uscita nelle sale.

Ad essere più precisi, oggi ricorre l’anniversario della prima assoluta proiettata durante il Festival del cinema di Venezia. In quell’occasione accompagnai io mio padre. Ricordo che eravamo emozionatissimi, un po’ spaesati, in quel contesto senza dubbio affascinante ma a noi estraneo. Ma chiunque contribuì a farci sentire a nostro agio.

La sera della proiezione non la dimenticherò mai: una sala gremita che insieme a me assisteva per la prima volta alla ricostruzione di quella storia che avevo sentito tantissime volte e alla quale mia nonna e mio padre avevano dedicato la loro vita. Vedere li, a Venezia, il mio paese, i miei compaesani, il giovane Lorenzo, con cui eravamo compagni a scuola materna, interpretare mio zio Peppino bambino, mio nonno, mia nonna, mio padre, mia madre, la nostra storia, su quello schermo, per la prima volta, è stata un’esperienza fortissima. Le scene finali del film sono state un pugno allo stomaco, ma la cosa che più di tutto mi ha scossa, alla fine, è stata la riproduzione di quella foto che ancora oggi, a Casa Memoria, guardo con emozione: la foto che ritrae mio padre, insieme a mia nonna e mia madre, che alza il pugno dietro il feretro, quasi a sancire quel nuovo rapporto con il fratello, l’inizio di un’ altra storia, quella storia di riscatto, verità e giustizia che dura da quarantasette anni.

E ricordo anche un’altra scena, altrettanto forte, la cui carica emotiva e storica eravamo in pochi a riconoscerla in quella sala, quella che ha ripreso i veri compagni di Peppino, sfilare tra le altre comparse, durante i funerali.

Quando il film è finito c’è stato un iniziale incredibile silenzio, seguito poi da 12 minuti di applausi. 12 lunghi minuti surreali pieni di commozione, rabbia e affetto. Non lo dimenticherò mai.

Così come non dimenticherò mai la prima volta che mia nonna si convinse a vedere il film. All’inizio si era rifiutata di farlo, ma decise di farlo a Cinisi, al cinema, tempo dopo la prima, insieme ai ragazzi della scuola media. Negli ultimi anni della sua vita, dopo aver voluto che le acquistassimo un lettore dvd, ogni domenica, prima che uscissi, mi chiedeva di mettere il “ciramu di me figghiu” (il film di mio figlio, NdR), fino all’ultima domenica, prima che ci lasciasse, in cui, non saprò mai se casualmente, mi chiese di metterlo “per l’ultima volta”.

Oggi vogliamo ricordare quel momento, perché nonostante tutte le contraddizioni, per noi è stato determinante, ha segnato un percorso e sono certa abbia segnato anche le vite di chi ne ha fatto parte. Ma la più grande soddisfazione, da venticinque anni a questa parte, è la consapevolezza che, grazie soprattutto all’impegno precedente e anche a quello successivo l’uscita del film, Peppino oggi è un punto di riferimento per più generazioni che attraverso il mezzo cinematografico hanno rivissuto quegli anni.

E, soprattutto, la consapevolezza che da quando è uscito quel film a oggi sono stati compiuti molti passi avanti — anche se il cammino da fare è ancora lungo.

Il premio per la migliore sceneggiatura viene consegnato alla famiglia Impastato. Da sinistra: Salvo Vitale, Giacomo Randazzo, Luisa Impastato, Lorenzo Randazzo, Felicia Vitale, Giovanni Impastato, Marco Tullio Giordana, Felicia Bartolotta, Claudio Fava, Monica Zapelli. (Cinisi, abitazione di Felicia Bartolotta, 2000)



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