Mezzo secolo in manicomio senza processo: l’incredibile storia di un siciliano a New Orleans

Nella foto: Salvatore Frisella, originario di Cinisi, riabbraccia i suoi familiari. New Orleans, 1973


Nel 1973 Salvatore Frisella, emigrato da Cinisi a New Orleans, venne liberato dopo aver trascorso cinquant’anni in un ospedale psichiatrico per un crimine per il quale non era mai stato processato.
Compaesano ricostruisce questa vicenda dimenticata attraverso le cronache dei giornali dell’epoca.


Scritto da Francesco Cipriano

9 settembre 2025


Tra i documenti d’archivio che raccontano la memoria del territorio e l’emigrazione dei nostri compaesani, abbiamo trovato una storia dimenticata che sembra uscita da un romanzo, finita sulle cronache americane di mezzo secolo fa. La fonte è un articolo dell’ Associated Press pubblicato su diversi quotidiani statunitensi nel 1973. Protagonista: un uomo originario di Cinisi, emigrato in Louisiana agli inizi del Novecento.

Si chiamava Salvatore Frisella. Come tanti altri siciliani, aveva cercato fortuna negli Stati Uniti insieme al fratello stabilendosi a New Orleans. Non sappiamo nulla dei primi 34 anni di Frisella, se non che nel 1923 la sua vita cambiò radicalmente: fu arrestato dalla polizia con l’accusa di aver preso a calci fino alla morte un uomo nel quartiere francese della città. Non vi fu nessun processo per l’emigrato siciliano: i giudici lo dichiararono mentalmente incapace di sostenere la propria difesa e fu internato in un ospedale psichiatrico statale.

Per decenni la sua vicenda rimase sospesa in un limbo. Frisella, che non parlava inglese, non fu mai processato, né liberato: trascorse cinquant’anni in istituto, lontano dalla sua comunità e dalla sua famiglia che come vedremo non lo dimenticherà. Mezzo secolo in cui il mondo all’infuori delle mura ospedaliere cambiava, ma all’interno l’esistenza di Frisella trascorreva prigioniera.

Un’udienza per valutare la sua sanità mentale si svolse solo nel 1965, ma anche in quell’occasione fu rimandato indietro, sebbene – raccontano i familiari – i medici dell’epoca avessero già ritenuto possibile il suo rilascio.

Solo nel 1973, quando Salvatore aveva ormai 84 anni, il caso tornò all’attenzione della giustizia grazie all’insistenza del nipote Jerome Frisella, che presentò ricorso in tribunale chiedendo la liberazione dell’anziano zio. Questa volta le autorità si resero conto dell’esistenza di Salvatore Frisella e lo Stato della Louisiana rinunciò a procedere.

«Se quest’uomo ha mai avuto un debito con la società, è stato ripagato» disse Frank Klein, assistente del procuratore distrettuale. «Lo Stato non procederà con l’accusa».

Il giudice del tribunale penale Jerome Winsberg ordinò l’immediata liberazione di Frisella, che dopo cinquant’anni, all’età di 84 anni, era finalmente un uomo libero. “I passi di Frisella erano incerti e la schiena incurvata, ma il suo sorriso era inconfondibile” racconta il cronista di Associated Press. Ad attenderlo nella stanza del giudice diversi parenti, tra cui l’anziano fratello Mario, di 98 anni, anche lui emigrato da Cinisi agli inizi del secolo. I due fratelli poterono riabbracciarsi e vivere gli ultimi anni della loro vita insieme: come racconta il cronista, infatti, Salvatore sarebbe andato a vivere a casa del fratello Mario e del nipote Jerome, nella stessa strada dove abitavano altri familiari. «Si sente rinato», disse alla stampa Samuel J. Finazzi, un cugino che aveva fatto da interprete durante la breve udienza.

La storia di Salvatore Frisella ci offre uno squarcio sulla condizione degli emigrati di allora: vite sospese tra due mondi diversi; l’esilio, i pregiudizi e la perdita dei diritti; destini segnati da sofferenze, isolamento e ingiustizie.

Ma racconta anche la possibilità di un ritorno simbolico alla vita attraverso l’affetto e la forza dei legami familiari che, nonostante tutto, continuavano a tenere insieme le persone.

Perché nessuno era dimenticato.


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