Pupi di zucchero, pistole a piombini e il nero del lutto: la tradizione dei Morti in Sicilia


Il 2 novembre è il giorno in cui si commemorano i defunti: una tradizione che in Sicilia aveva un suo specifico rito che contrapponeva il dolore e il lutto di chi aveva perso una persona cara ai doni e ai giochi dei bambini.

Ce lo racconta Sebastiano Di Maggio, che ricorda come si svolgeva la commemorazione a Torretta.


Scritto da Sebastiano Di Maggio

02 novembre 2025


Da metà ottobre nel bar di Pippinu non si giocava più a carte. Al posto dei tavolini da gioco venivano collocati grandi ripiani in cui venivano esposte per la vendita decine e decine di pupi di zucchero. Avevano varie forme e misure: le più belle e anche le più richieste erano le dame e i cavalieri a cavallo. Centinaia di pezzi di frutta martorana facevano da contorno e cornice ai pupi di zucchero disegnando uno sfolgorio di colori che davano a quel bar un'immagine completamente diversa da quella a cui eravamo abituati. In poco più di una settimana tutti quei pupi e quella frutta Martorana venivano tutte vendute e il bar tornava ad essere la solita camera a gas.

Fuori dal bar, negli scalini di Via Roma, il solito fioraio capacioto sistemava decine di vasi di fiori. All'angolo di Don Gaspare, u murrialisi tutte le sere riempiva Via Roma di fumo proveniente dal caldarroste in cui arrostiva le castagne che pubblicizzava con il suo famoso abbannìo ripetuto incessantemente: "Castagni da bella…!". Per strada i bambini scorazzavano con in mano pistole e fucili giocattolo. I più grandicelli usavano pistole un po' più "professionali" e utilizzavano i "piombini" per imitare gli eroi dei film western che allora andavano di moda. La mattina presto i forni sfornavano i vasteddi che Ciccu vendeva per strada.

Quella era l'atmosfera che anticipava il giorno dei morti.

All'atmosfera brillante e gioiosa dei bar e delle strade si contrapponeva quella triste del cimitero comunale. Già all'alba le prime persone si recavano al cimitero. Ognuno portava fiori, lumini e candele. Prima di mezzogiorno il cimitero era affollato come la Via Roma il giorno di San Calogero. Davanti a ogni tomba vedevi gente vestita di nero che piangeva i loro morti. Urla strazianti provenivano da più parti del cimitero e soprattutto da quelle tombe dove era sepolto qualcuno morto di recente. La gente si portava le sedie da casa e si piazzava per tutto il giorno davanti la tomba dei propri cari.

La chiesa del Sacramento era sempre strapiena, centinaia di lumini e candele venivano accese creando un'atmosfera lugubre e un'aria irrespirabile, mentre Don Natale Caruso, con la sua immancabile carpetta sottobraccio, si prodigava perché non si sviluppassero incendi. Una signora anziana recitava a pagamento Ave Maria e Requiem: tanto era impegnata e contesa che bisbigliava Requiem a velocità 3x. Tanti bambini si rincorrevano tra i viali del cimitero con le proprie pistole giocattolo contrapponendo la propria gioia a quella triste della mamma o moglie che piangeva il proprio figlio o marito da poco deceduto. La gente lasciava il cimitero quando già era buio e le uniche luci erano quelle dei lumini e delle candele ancora accese.

A poco a poco la Via Carlo Alberto era una processione al contrario, donne vestite a nero con in mano una sedia e un portacandele sporco della cera sciolta tornavano a casa. Il fioraio di Via Roma, dopo aver dormito tre giorni nei gradini della scalinata, raccoglieva i vasi con i fiori rimasti e tornava a Capaci.

Tutti appena tornavano a casa preparavano sacchi e scala perché l'indomani iniziava la raccolta delle olive.


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