Un americano in Sicilia: la storia dell’emigrato di Terrasini scambiato per un mafioso e imprigionato per sei mesi


Durante una delle consuete ricerche d’archivio di Compaesano, ci siamo imbattuti in una vicenda risalente a quasi sessant’anni fa. Una storia che all’epoca fece notizia negli Stati Uniti: quella di Charles Orlando, nato Calogero Orlando a Terrasini, emigrato giovanissimo in America dove costruì una vita onesta e agiata.

Nel 1965, durante una vacanza in Sicilia con la moglie, venne improvvisamente arrestato dalla polizia italiana e detenuto per sei mesi nel carcere dell’Ucciardone di Palermo, senza accuse formali e senza prove. Solo dopo una lunga prigionia, in gran parte trascorsa in isolamento, fu liberato e immediatamente espulso dal Paese, con il divieto di rientrare in Italia.

Quella che segue è la traduzione fedele dell’articolo pubblicato all’epoca dall’agenzia United Press International, che riportava la sua drammatica testimonianza.


Traduzione di Francesco Cipriano


Cittadino americano innocente detenuto in carcere per sei mesi

NEW YORK (UPI) – Edward V. McCarthy

Un cittadino americano, in questo anno 1966, ricco o povero, assolutamente senza alcun precedente penale e in possesso di un valido passaporto statunitense, può essere incarcerato per sei mesi, per gran parte del tempo in isolamento, senza uno straccio di prova contro di lui. E – il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti può fare niente più che garantire che il cittadino non venga “discriminato” – cioè, che debba essere trattato allo stesso modo di qualsiasi prigioniero locale.

In uno dei paesi dietro la Cortina di Ferro? Nella Cina Rossa?
No. In Italia.

In un caso recente, nel suo zelo nel combattere la Mafia, il governo italiano ha incarcerato un americano di origine italiana per sei mesi senza accuse. È stato poi rilasciato ed espulso dal paese.
Ma, in quella che le autorità statunitensi hanno definito “una manovra per salvare la faccia”, l’Italia gli ha vietato di tornare mai più su suolo italiano sotto la minaccia di un nuovo arresto e incarcerazione.

United Press International ha verificato accuratamente questo cittadino con il dipartimento di polizia di New York City e le autorità federali.
Tutti hanno concordato che era completamente al di sopra di ogni sospetto. Infatti, quest’uomo aveva fatto parte di una giuria federale a New York City poco prima dell’incidente.

Charles Orlando, 59 anni, vive con la sua attraente moglie, Kathleen, in un moderno edificio residenziale nel raffinato Upper East Side di Manhattan.
È nato come Calogero Orlando a Terrasini, circa 18 miglia da Palermo, in Sicilia.
Suo padre, il defunto Nicolo Orlando, era un grossista di generi alimentari.

Charles Orlando è arrivato a New York nel 1922 e ha iniziato a occuparsi di alimenti, un’attività che aveva appreso dal padre. Divenne un mediatore di generi alimentari, in seguito benestante.

Ecco la sua storia, così come l’ha raccontata alla UPI:

“Il 23 luglio 1965, mia moglie ed io siamo partiti per Palermo, Sicilia, per uno dei miei viaggi d’affari regolari e per visitare mia sorella a Terrasini. Faceva terribilmente caldo a Terrasini e mentre Kay ha deciso di restare a visitare la famiglia Passalaqua, io sono andato a Palermo a soggiornare all’Hotel delle Palme con aria condizionata, dove alloggiavo sempre per motivi di lavoro.
Mi stavo preparando a dormire quando, intorno alle 2:30 del mattino del 2 agosto, il direttore ha fatto entrare sei poliziotti italiani in borghese nella mia stanza. Altri due, ho saputo poi, sono rimasti nella hall.
I poliziotti mi hanno detto di vestirmi subito e di fare i bagagli. Mi hanno detto che dovevo andare con loro. Quando ho chiesto perché, si sono rifiutati di rispondere.
Mi hanno perquisito e hanno controllato i miei effetti personali in cerca di un’arma, ma, naturalmente, non ne avevo.
Quando ho finito di prepararmi, mi hanno portato alla sede della polizia investigativa, un edificio di quattro piani a circa 100 metri dall’edificio principale della polizia.
Sono stato portato in una stanza al secondo piano. Faceva molto caldo.
Dopo circa 30 minuti sono stato portato in un’altra stanza e perquisito di nuovo mentre frugavano nei miei bagagli e nella mia valigetta.
Poi, quattro uomini mi hanno portato all’edificio centrale della polizia dove mi hanno preso le impronte digitali e una fotografia. Mi sono opposto al fatto che mi fotografassero, ma hanno insistito che era solo per gli archivi e che le foto non sarebbero state consegnate alla stampa.
Ho scoperto in seguito, però, che avevano quasi immediatamente consegnato le foto alla stampa italiana locale, insieme a una storia secondo cui ero un noto membro della Mafia sospettato di traffico di droga. I giornali ne fecero un titolo da prima pagina.
Intorno alle 5:45 del mattino, fui messo in un’altra macchina e portato al carcere principale di Palermo – il carcere dell’Ucciardone – costruito da Napoleone.
Lì, in una stanza sporca, mi hanno tolto tutti i vestiti e gli effetti personali, incluso l’orologio. Ancora nessuno mi diceva cosa stesse succedendo.
Devo ammettere che ero spaventato e confuso. Non mi era mai successa una cosa del genere prima. Sapevo di non aver commesso alcun crimine. Pensavo dovesse trattarsi di uno scambio di persona. Era come un incubo assurdo.
Ma non avevo a chi rivolgermi. Ero in minoranza numerica e nelle loro mani. Volevo chiamare mia moglie, ma mi fu negato, dissero però che sarebbe stata informata.
Ero solo e impotente.
Ma continuavo a dirmi: la giustizia prevarrà. Il mio governo verrà in mio aiuto.”

“Alla fine, ho scoperto quale fosse il reato di cui ero accusato. La polizia aveva arrestato altri dieci uomini oltre a me in Italia e sosteneva che fossimo membri della Mafia.
Mi accusavano di aver partecipato a una riunione della Mafia all’Hotel delle Palme nell’ottobre del 1957, sotto la guida del defunto Charles (Lucky) Luciano.
Ho negato di essere stato a quella riunione. In effetti, ho detto che potevo provare di essere a New York City al momento dell’incontro, e che ero a Palermo un mese dopo, quando la polizia dello stato di New York ha fatto irruzione nella riunione di Apalachin, nello stato di New York, che seguì quella siciliana.
Nessuno mi ha prestato attenzione.
Il mio inquisitore era Aldo Vigneri – il principale cacciatore di mafiosi in Italia – che, secondo il funzionamento del loro sistema giudiziario, funge da pubblico ministero, giuria e giudice tutto in uno.
Per otto giorni è venuto a trovarmi in prigione e mi ha fatto domande.
Ho risposto liberamente. Ho ammesso di conoscere bene due degli uomini arrestati con le stesse accuse – Vincenzo Martinez e Francesco Garafalo.”

Orlando ha detto di aver perso 35 libbre (circa 16 kg) e che per i primi 43 giorni non ha potuto vedere né sua moglie né i suoi avvocati.

“Potevo scrivere a mia moglie due volte a settimana e lei poteva rispondermi due volte a settimana,” ha detto.
“Dopo i primi 43 giorni, le è stato permesso di visitarmi una volta ogni due settimane. I miei avvocati potevano venire a vedermi in una stanza speciale riservata a tale scopo quasi in qualsiasi momento.
Anche se i miei avvocati potevano vedermi in privato, mia moglie no.”

“Alla fine, la lunga incarcerazione, le preoccupazioni e la mia età hanno cominciato a farsi sentire. Il 4 dicembre sono stato trasferito alla casa di cura Arcobaleno per un’operazione.”

Lì è rimasto per settimane.
Alla fine ha saputo che la polizia aveva ammesso di aver commesso un “errore” e che,

“come ho sempre sostenuto, non avevo mai partecipato a nessuna riunione della Mafia.”


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